Non ha retto al forte vento che da ieri mattina si è abbattuto su Palazzolo la tela da venticinque metri raffigurante il Crocifisso, che all’alba era stata innalzata sulla facciata della chiesa di San Sebastiano. Dipinta in olio e tempera su tela dal giovane artista palazzolese Andrea Caruso, la tela è stata sistemata in piazza del Popolo, recintata con corde e alberi, per permettere ai passanti di ammirarla.
" E’ un vero peccato – commenta con rammarico Caruso – l’effetto che avrebbe avuto sulla facciata soprattutto vista da lontano non è lo stesso. Ma per motivi di sicurezza abbiamo deciso di sistemarla in piazza”.

Allo storico d'arte Giovanni Morale Il Premio San Sebastiano. 
A Giovanni Morale è andato il premio San Sebastiano, giunto alla decima edizione, che ogni anno la commissione dona a un devoto impegnato nella diffusione del culto per il santo. Morale, storico d’arte e membro del comitato direttivo dell’Ente Raccolta Vinciano, ha ricevuto il premio “Per impegno verso San Sebastiano ed in modo particolare verso la Basilica di Palazzolo”, avendo studiato il quadro di San Sebastiano restaurato lo scorso anno. Morale durante l’ottavario della festa, ha presentato dei quadri sotto forma di diapositive col titolo “Viaggi nell’iconografia di San Sebastiano”.
Federica Puglisi Giornale di Sicilia  
21 agosto 2008

SAN SEBASTIANO E I FEDELI DI PALAZZOLO ACREIDE 
di Davide Dutto 20 agosto 2007 
L’altro giorno sono partito da Portopalo alla volta di Palazzolo Acreide dove durante il mese di agosto si svolgono i festeggiamenti del protettore S. Sebastiano. Lello Fargione è il mio punto di riferimento, nel tempo ci siamo incontrati virtualmente scrivendoci informazioni mail sulla festa, qui finalmente lo conosco realmente. Nonostante il suoi numerosi impegni di organizzatore Lello mi aiuta molto spiegandomi il programma e consigliandomi come e dove fotografare. Per la sistemazione mi indirizza nell’antico splendido Feudo Bauly da poco ristrutturato. Il feudo confina con un boschetto nell’affascinante campagna di Palazzolo, rimasta ancora oggi selvaggia. Così dopo essermi sistemato, preparo l’attrezzatura e vado a fotografare nella Basilica di S.Sebastiano la “svelata” del santo. Appena finita la messa cerco di organizzarmi per le riprese, ma in breve tempo mi ritrovo spinto dalla massa dei fedeli in delirio a ridosso dell’altare. Schiacciato, fotografo tra le urla e le braccia alzate verso il santo mentre è imminente l’apparizione della statua. Ecco ora appare dall’alto e avanza fino ad essere ben visibile a tutti i fedeli. Tutti urlano sempre più forte ” …e chi siemu tutti muti, sammastianu pi la vita patronu..”,”…e ciamamulu ca ni senti sammastianu pi la vita patronu”. Ora le grida sono diventate un’unica grande ovazione. In questi momenti ho poco tempo per ragionare e mi lascio trascinate dall’emozione dei fedeli, dalle mani protese, dagli occhi lucidi, dal sudore spruzzato sull’obbiettivo. Fotografo senza potermi muovere di un centimetro. Tra una spina e l’altra mi accorgo che al mio fianco un’altro fotografo sta riprendendo le stesse azioni e ogni tanto, un gomito, un pezzo d’obbiettivo entrano in campo mentre riprendo l’evento, ma collaboriamo e cerchiamo di non darci troppo fastidio. Tutto sembra passare in un attimo e la cerimonia finisce, la gente sfolla lentamente ancora eccitata e appassionata. Scambio così due parole con il collega al mio fianco, si chiama Filippo Minnito e vive e lavora a Terrasini vicino a Palermo, parlando ci accorgiamo che stiamo facendo progetti simili in Sicilia. Parliamo ancora il giorno dopo mentre ci prepariamo a fotografare l’uscita dalla chiesa e mi presenta la sua bella famiglia. Comincia la processione, la “sciuta” alle 13.00 (due artistici fercoli, sotto una pioggia multicolore di migliaia di nzareddi, lo sparo di bombe, il suono delle bande e l’offerta dei bambini nudi, processionano lungo le strade del centro storico, sorretti a spalla nuda dai portatori, seguiti dalle devote del viagghiu scausu e dalla folla dei fedeli.) e tutto diventa di nuovo eccitazione, urla e pianto, mentre i botti esplodono lanciando nel cielo migliaia di strisce colorate (nzareddi). Le reliquie e la statua del santo vengono portate giù dalla ripida scalinata a spalla nuda dai portatori. Il percorso si snoda tra i vicoli del paese, i bambini nudi vengono alzati sul carro per essere esposti al santo e alla folla, le offerte in denaro vengono appese davanti al statua del santo. Fotografo a ripetizione tutte queste fasi, avanzo davanti alla processione spintonato dalla gente e schivando i portatori sto attento a non creare intoppi e a non farmi sopraffare da altri fotografi professionisti e non… a sera tardi finisce così la giornata-battaglia e torno nella mia camera con vista sui boschi, scarico le immagini sul computer, sono stanco,domani parto per tornare a Portopalo…
davide dutto

 

La storia di San Sebastiano, 
Sebastiano nato a Roma era un romano. 
I Romani dicevano che GESU' era uno stupido e che non era mai esistito sulla terra , però Sebastiano credeva e diceva che GESU' esistiva sulla terra. Un giorno Sebastiano incontrò GESU' , GESU' diceva che se andava nella strada buona era premiato. Sebastiano era felicissimo delle parole che GESU' gli aveva detto. Cosi' da quel giorno Sebastiano credeva di più a GESU'. Ormai Sebastiano seguiva e apprezzava le parole di GESU' . Un giorno i Romani seppero che Sebastiano credeva a GESU' ,così gli tirarono le frecce , ma Sebastiano non morì. Sebastiano seccato di quello che gli avavano fatto i Romani andò dai suoi genitori , ma anche loro erano Romani , così per aver ascoltato le parole che aveva detto Sebastiano , lo misero in cella. Un pò di giorni dopo i Romani presero Sebastiano e lo fecero morire prendendolo a bastonate. Così GESU' premiò Sebastiano facendolo diventare Santo. RINGRAZIAMENTI Questo testo l'ho fatto per ricordare SAN SEBASTIANO sempre nei nostri cuori. 
di Vincenzo Trigila , (di 7 anni e10 mesi, che frequenta la 3^ elementare), 
devotissimo di San Sebastiano

 

La Pala di San Sebastiano Un breve percorso iconografico 
di Giovanni Morale 
kallistearte 25 giugno2007
Palazzolo Acreide gode fin dalla colonizzazione greca di celebri tradizioni legate al teatro e all’arte tersicorea; la cittadina iblea è stata, infatti, uno dei massimi centri culturali nella Sicilia orientale già alcuni secoli prima di Cristo. Nonostante la popolazione sia da sempre legata all’agricoltura e vi siano, soprattutto in epoche passate, non poche difficoltà di comunicazione, sappiamo che uno dei più grandi autori rinascimentali, Antonello da Messina, ha eseguito per la chiesa dell’Annunziata la tavola, ora esposta al siracusano Museo Bellomo, raffigurante l’incontro dell’Arcangelo Gabriele con Maria. In questo contesto certamente non marginale nella Storia dell’arte, si collocano sia la presenza di momenti religiosi e civili sia una pia devozione popolare, consolidata nei secoli. La cittadina vede la coesistenza, talvolta vivace, principalmente di due importanti centri devozionali: il primo legato all’Apostolum Gentium, san Paolo, l’altro al soldato romano martirizzato da Diocleziano, san Sebastiano. Entrambi i santi godono di straordinari primati all’interno non solo nella Storia della Chiesa ma anche nel panorama agiografico. Il primo, come afferma non senza sarcasmo Friedrich Nietzsche, è il vero fondatore del Cristianesimo, mentre il secondo è tra i santi più celebrati del Martirologio Romano. La Pala che raffigura il martirio del santo, avvenuto a Roma nel IV sec., secondo quanto riferitoci dalla ‘Depositio martyrum’ risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio e il “Commento al salmo 118” di s. Ambrogio (340-397), dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma. Il grande dipinto fu composto per la Basilica di Palazzolo nel 1713, come attesta la datazione in basso a destra, tuttavia ignote, per ora, l’autore. Con ogni probabilità il pittore è da ricercare nella cerchia iblea di quegli anni, ricca di un fermento artistico derivante dal terribile terremoto del 1693 che distrusse gran parte della Val di Noto. Il dipinto è stato commissionato per la chiesa, proprio per l’altare maggiore come attesta la precisa corrispondenza degli stucchi e la corretta proporzione della tela in relazione allo spazio architettonico. L’iconografia assai ricca vede diversi elementi agiografici e iconologici, che non trovano esempi nel panorama pittorico della pittura occidentale; questo fatto attesta maggiormente la particolare fede e devozione della committenza che voleva certamente esaltare le innumerevoli doti del santo protettore. Al centro della tela, il protagonista, Sebastiano che fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino e colpito da frecce dai soldati  romani che appaiono in basso a destra. In alto un angelo porta la palma simbolo del martirio e la certezza di essere già chiamato nell’esercito dei Giusti in paradiso. Tuttavia la presenza dell’angelo con la palma preannuncia la gloria celeste che non avviene, però, nel momento del lancio delle frecce. Infatti, la tradizione vuole che Sebastiano non muoia: la nobile Irene, infatti, vedova di s. Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura e la pia donna si accorse che il tribuno non era morto e trasportatelo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano. L’imperatore è raffigurato a destra su un trovo circondato da altri patrizi romani, mentre i cristiani, soggetti alle sue violente persecuzioni, sono raffigurati in basso a sinistra stabilendo un continum nel processo della narrazione pittorica. L’epilogo della storia del santo è ben noto agli abitanti del centro ibleo: Diocleziano, infatti, ordinò che il santo fosse flagellato a morte con un’esecuzione che avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima. Nella pala dell’altare maggiore compaiono in alto a sinistra due figure: Cristo e le Vergini d’assisi su una nuvola, sotto di loro i cristiani perseguitati. Cristo veste i panni di Dio-Zeus con le frecce dei flagelli che mitologicamente definiscono le pene inflitte agli uomini. Ecco la chiave di volta di tutta la tessitura pittorica: Sebastiano protegge dalle “frecce celesti” il popolo a lui devoto e fa ritornare al Padre i “dardi”, le prove che la divinità sta per lanciare sugli uomini. Ecco perchè copiosa è la tradizione iconografica relativa al santo, in qualità di protettore ed ausiliatore presso Dio dell’umanità. La tradizione vuole che la piaga divina peggiore fosse la peste ecco perchè Sebastiano è associato a san Rocco come protettore delle epidemie e dei cataclismi. Forse l’antica devozione palazzolese è da ricercare proprio in fenomeni epidemici che hanno caratterizzato il medioevo e i primi anni del Seicento. Non da ultimo la devozione è certamente aumentata nella popolazione assai provata dal terremoto fine seicentesco a tal punto da commissionare una pala d’altare pochi anni dopo quasi a propiziarsi benigne grazie celesti. 
Giovanni Morale 
www.kallistearte.org

IL GIORNALE 
edizione di domenica 22 aprile 2007 
PALAZZOLO ACREIDE Sebastiano, santo futurista 
di Luca Doninelli
Dovete immaginare un cielo così blu da sembrare il fondo di una piscina piastrellata, una piazza che sale leggermente verso una grande scalinata e, in cima alla scalinata, una delle facciate più belle di Sicilia, equilibrio impressionante tra fasto e teatralità da un lato e sobrietà e misura dall’altro. Se lo sguardo corre alla chiesa è perché la stessa conca della piazza guarda lassù. Anche a essere da soli, è inevitabile che quella e solo quella sia la direzione dello sguardo. Sono, dunque, le tredici in punto. Il termometro dell’automobile segnava trentasette gradi, ma adesso devono essere di più. Con l’aprirsi della porta della chiesa è come se si aprisse una gran bocca, tanto è insistente il rosso dei drappi all’interno. Dalla bocca prima esce, sostando giusto sul labbro dell’orifizio, la reliquia del santo, trasportata in una pesantissima teca che richiede lo sforzo di diversi portatori; poi, ancora più pesante, ecco apparire, tra le grida di giubilo - o forse sarebbe meglio dire di trionfo - dei ragazzini (tutti rigorosamente di sesso maschile), la statua del Santo trafitto, dalle cui ferite esce un sangue di smalto. Eccola: è la «sciuta», l’uscita, è il momento atteso da tutti. La tensione nervosa è tale da contagiare anche noi, che ce ne stiamo - quali turisti «culturali», quali turisti e basta - nel parterre di questo teatro. Una signora milanese con due figlie adolescenti, che finora ha parlato solo della qualità della pasticceria di Palazzolo Acreide («da Corsino, da Corsino, credetemi, è la numero uno»), all’urlo dei ragazzini scoppia a piangere, imitata immediatamente dalle figlie vestite da sciantosette, come si dice oggi per dire puttanelle. Vedo altri occhi lucidi, occhi di turisti, occhi di gente di passaggio. Ma guai ad abbassare le fotocamere, guai a riporre i telefonini, perché con la «sciuta», nello spazio che intercorre tra il grido dei ragazzi lassù e le lacrime delle donne quaggiù - uno, due secondi -, l’intera facciata della chiesa, che era stata farcita di candelotti, esplode. Milioni di strisce di carta multicolori, della lunghezza di un paio di metri e della larghezza di cinque, sei centimetri, vengono proiettate nell’aria. La loro quantità nasconde persino il sole e il cielo, tanto che in men che non si dica tutti noi ci ritroviamo coperti di strisce, che il vento sparge su tutta la città. E i fili elettrici, da un istante all’altro, si sono trasformati in campionari di strisce pendenti, rosse e verdi e gialle e celesti. Intanto, hanno cominciato a esplodere anche i fuochi d’artificio, che sono la cosa più notturna del mondo e qui si sprecano al cospetto del cielo più chiaro. A questa visione spaesante mi prende un’inquietudine che ben conosco: è quella specie di ira, o di dispetto, che sempre in me precede un vero atto di conoscenza. Devo capire, non gliela darò vinta tanto facilmente. Il mio amico Ric mi mostra una striscia di carta e mi fa notare che sull’estremità, incollato, c’è un chiodo. Ne raccatto un’altra da terra, e c’è un chiodo anche lì. Per fortuna a pochi passi c’è l’avvocato, lo storico locale, lui ci spiegherà. E infatti ci spiega. Per giorni e giorni, dice, i ragazzini delle scuole elementari di Palazzolo sono stati impegnati a fissare questi chiodi alle strisce per rendere lineare la parabola del loro volo. «In orario di scuola?» domando. «Eh... » risponde. Poi, dopo una pausa, ammirato dai fuochi che sembrano non smettere mai, luce dentro luce, lui, che vede queste cose da mezzo secolo sospettando qualcosa si rivolge di nuovo a me. «Zang tumb-tumb. Le pare?». «Che c’entra Marinetti?». «Non mi dica che non le viene in mente Marinetti. Tutta quella novità che si agitava in aria... ih ih ih... non era che un condensato di antichissima Italia. Lei è intellettuale vero? Mi permetta: c’è più mondo contadino in Marinetti che in Pasolini». Evviva l’avvocato. Che non tira in ballo l’etnografia, i riti, Lévi-Strauss. Non gl’interessa, a lui, il rito del pane, lui il pane se lo magna, e me ne offre uno intero perché la moglie l’ha messo a stecchetto. Ha settantacinque anni, è alto un metro e sessantanove e pesa centoventicinque chili. Ed è bellissimo. Poi la processione ha inizio sotto gli archi mobili - di legno - che hanno trasformato una delle vie del paese in una sorta di via trionfale, e qui perlopiù si dividono i turisti dai locali, che seguono le sacre immagini, mentre il turista si accontenta di riporre il telefonino o di riguardarsi le immagini nel display della fotocamera, mentre la moglie è a caccia di bottigliette d’acqua. La processione durerà tutta notte, e Ric è intenzionato a rimanere fino al momento in cui la statua di san Sebastiano rientrerà, all’alba, in chiesa - cerimonia della della «velata», cui assistono, anche qui, solo uomini, spesso in lacrime - per restarci un altro anno. Decidiamo di seguire un po’ la processione e un po’ di andarcene a visitare questo paese strepitoso (come tanti altri: da Noto a Modica, da Ibla a Scicli, a Piazza Armerina... ), nella certezza che incroceremo più e più volte l’immagine di san Sebastiano. In questa festa, su dieci cose, otto devono essere illegali o giù di lì. E anche le due che restano, quelle più strettamente religiose, non trovano sempre il consenso dei preti. Mi dicono, per esempio, che in certe altre città il vescovo ha proibito una parte di questi riti dicendo che si tratta di cose pagane. Il popolo, a quanto sembra, si è rivoltato, ma non c’è stato niente da fare. L’ortodossia ha fatto passi da gigante, altro che controriforma (da cui, se mai, questo fasto ebbe i natali). Cose pagane. E allora? Dove sta il problema? Quando mai il cristianesimo ha avuto paura del paganesimo? Il paganesimo è una cosa importante, Dante Alighieri invoca la Musa, invoca il «buon Appollo», ed è difficile camminare per Siracusa e dintorni senza percepire la presenza attuale di questi dèi (e l’Etna è sempre lì...). Guardo la statua di san Sebastiano e all’improvviso un fiammifero si accende nella mia testa piena di teorie. Quel sangue sontuoso che sgorga dalle sue ferite, quel sangue che mette sete, che mette voglia di leccare, che promette un gusto senza pari, quel sangue che è sangue di morte ma insieme di vita e di abbondanza, e che è sangue del sangue di Cristo: quello è il segno del dolore e, insieme, del vero benessere. L’antico rito dell’abbondanza, rito senza dubbio pagano, è diventato cristiano non per un principio di occupazione di spazi, ma perché il cristianesimo, lungi dal cancellare la religiosità pagana, la abbraccia e la fa sua. Perché l’abbondanza di pane è una benedizione di cui l’anima dell’uomo semplice è grata a Dio, e Dio ha donato il suo sangue, e con lui i santi e i martiri: sangue che è vino, miele, sangue vivificatore. E i fuochi d’artificio in piena luce sono la geniale metafora di tutto questo: luce che si aggiunge a luce, grazia che si aggiunge a grazia, abbondanza sopra abbondanza, verità su verità. È lo stesso genius che ha creato queste meravigliose chiese. Il cristianesimo non si pone mai in alternativa al cuore umano. I preti (compresi i «preti» laici, che sono tantissimi), molto spesso sì. È sera, io ho troppo caldo e vado a dormire. Ric, invece, vuole resistere fino alla «velata». Ric è uno degli uomini più moderni e spregiudicati (nel senso positivo della parola) che io conosca, è un famoso giornalista, un intellettuale, da giovane ha studiato molto le feste e i riti popolari, e ora che si occupa di tutt’altro mantiene per queste cose una grande passione. Lo ritrovo alle nove, al bar. Capisco, guardandolo, che deve ancora andare a dormire. Ha gli occhi rossi, gli chiedo se è per la stanchezza, lui risponde con franchezza: no, è perché ho pianto. È stato in chiesa, ha visto la statua rientrare, circondata da ragazzi e uomini adulti, madidi di sudore, col cellulare spento nel taschino e il gel nei capelli, ha visto questi uomini invocare il santo e la Madonna con grida e pianti, non ha capito una parola ma ha capito l’urlo di quei cuori, e non ha potuto trattenersi dal piangere a sua volta. Gli antichi e i padri della Chiesa si chiedevano: che cos’è l’uomo? Noi, come ho già detto, sembriamo disinteressati a questo problema. «Bisogna correre, andare!» sbeffeggiava Gadda. Ma così facendo lasciamo sprofondare il mondo sotto i nostri piedi, proprio come i ghiacciai che si sciolgono e sprofondano nel mare e non esistono più.

Giornale di Sicilia 29 maggio 2007 


LUCE E COLORI AL QUADRO DEL MARTIRIO DI SAN SEBASTIANO
Un restauro conservativo che ha ridato luce e colore ad un dipinto del 1713. È il lungo lavoro fatto da Enzo Nieli al quadro del martirio di San Sebastiano, attraverso l’uso di tecniche pittoriche naturali che hanno reso possibile la pulitura e la rifinitura dell’opera. Tante le tecniche adoperate. Nieli ha prima effettuato una pulitura della superficie pittorica, poi ha smontato il vecchio telaio, rimosso i rattoppi che negli anni erano stati messi sul retro per coprire i tagli provocati dall’usura, e ha effettuato la pulizia delle polveri. Poi è stata eseguita la velinatura, ed è stato montato un nuovo telaio, la stiratura e la pulitura definitiva con vernice pittorica che raffresca i colori. L’opera che misura quattro metri di altezza e tre di larghezza sarà posto sull’altare maggiore della chiesa di San Sebastiano. 

Federica Puglisi

IL GIORNALE 
edizione di domenica 15 aprile 2007
SICILIA Alle fonti del santo patrono 
di Luca Doninelli 
Qui, del resto, le invasioni sono la regola della storia. Ma c’è invasione e invasione: c’è quella che azzera, ma c’è anche quella che contribuisce alla nascita di qualcosa di originale. La Sicilia è greca, è romana, è cristiana, è araba, è sveva, è normanna, è ebrea, è genovese e, naturalmente, anche americana. Ma tutto questo e altro ancora hanno generato qualcosa di unico, che non somiglia a niente. Come la cassata, dicono i palermitani. Da quale influsso o flusso di civiltà è stata prodotta? Da niente: è nata qui, come il Barocco Siciliano. È genius loci. Del resto, qui abitarono gli dèi - danza nell’aria il profilo sterminato dell’Etna - e probabilmente ci sono ancora. Di luoghi straordinari, in questo sud-est siciliano, ce n’è tanti, così come di feste. A Catania c’è sant’Agata, a febbraio: una festa così importante da subordinare tutti gli altri programmi, da quelli politici a quelli sportivi. A maggio c’è l’Infiorata di Noto: una via in discesa viene completamente ricoperta di un disegno fatto di fiori. Il disegno comprende motivi sacri mescolati ad altri, profani, che la fantasia degli artisti compone a suo piacimento, con facce di uomini politici (così mi hanno detto) e addirittura con personaggi di Walt Disney (questo l’ho visto io). Il fatto è che la nostra immaginazione si è come rattrappita. Per capire l’uomo ci vuole una grande immaginazione. Poeti, filosofi, padri della Chiesa si sono ripetuti, nei secoli, le parole del salmo: «Che cos’è l’uomo?». Oggi tutti pensano di saperlo già: politici, operatori sociali, preti. Tutti pensano, o sono costretti a pensare, di trovarsi già dalla parte giusta. Così i gesti dei padri e dei nonni sprofondano nell’ignoto, diventano incomprensibili, illeggibili. Oggi però - un «oggi» che non è oggi, perché siamo al 20 di agosto - la destinazione è un’altra festa, la festa di san Sebastiano a Palazzolo Acreide. Una strada di recente costruzione taglia in due un territorio arido, di terre rossastre, che lascia esplodere, qua e là - e sempre più man mano che si procede verso l’interno - un verde speciale, che per vivere ha dovuto lottare e adesso si presenta nel fulgore della sua lotta. Ci inoltriamo nei Monti Iblei, che di tutti i massicci e di tutte le catene montuose (Peloritani, Nebrodi, Madonie, Erei) sono i più ricchi di cultura. Vuoi per la vicinanza di Siracusa, vuoi - soprattutto - per la storia speciale legata a questi monti, che sono ricchi d’acqua e furono perciò, nei secoli, molto importanti. Quando sono a Siracusa vado spesso a cena da Mariano, dove si cucina alla maniera degli Iblei, con tanti prodotti di terra e pochi di mare. Anche questo è un segno del dare-e-avere di questa terra: chi, nei secoli, è sceso qui ha sempre portato qualcosa, ma ha sempre ricevuto. Senza questo non c’è cultura e non c’è vero benessere: l’uomo è fatto per dare, e sta bene quando può dare. Mentre posteggiamo, un signore seduto davanti a una casa ci guarda con un po’ di commiserazione. «Anche voi qui per san Sebastiano?». Alla risposta affermativa di Ric, lui scuote la testa: «San Paolo: dovevate venire qui per san Paolo: quella è la vera festa!». Palazzolo Acreide, diecimila abitanti scarsi, recentemente dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, è un posto veramente speciale. Forse non possiede la magnificenza di Noto, però ha qualcosa di più. Noto nacque pressoché dal nulla, dopo essere stata azzerata da un terremoto alla fine del ’600, grazie al concorso di architetti insigni, capaci di elaborare, come scrisse Gesualdo Bufalino, «un linguaggio di lusso». Ma Palazzolo ha il fascino dei luoghi dove le cose nascono. Come l’acqua, che si sprigiona dalle caverne sottostanti per fecondare i campi, così è il carattere di questa città antica. I siti archeologici sono diversi, dal teatro greco all’agorà a una grande necropoli alle enormi statue dette dei «santoni». Qui fu praticato il culto della Grande Madre, ed è ancora oggi la parola «terra» a riassumere il senso di tutto. Se la festa di san Paolo è la festa della città bassa, quella di san Sebastiano è di competenza della città alta. La chiesa di san Sebastiano, del ’700, è il punto più alto di Palazzolo. Le parole del signore seduto, incurante del viavai - strade chiuse al traffico, vigili dappertutto, ragazzi urlanti vestiti per l’occasione - mi dicono che c’è rivalità tra quartieri. C’è però chi vuole conciliare. Sulla piazza gremita di fedeli e di turisti - questi ultimi si distinguono per le fotocamere e i telefonini tenuti in alto, ad immortalare il momento magico - chi chiede informazioni viene spedito da un uomo molto distinto, che spiega come questi riti - con san Paolo che apre e san Sebastiano che chiude - abbiano un’origine precristiana e siano legati al mito della fecondità. Al centro della piazza, su un carro, un uomo distribuisce pane a tutti. Ce n’è in grande quantità: lo hanno fabbricato, durante la notte, non solo le fornerie ma anche molte case private. È quasi l’una, il sole è a picco, il caldo quasi insopportabile. Dentro sta per finire la messa. La facciata della chiesa è tutta disseminata di candelotti. Ma come?, un fuoco d’artificio al culmine del giorno? Una luce accesa davanti al sole? C’è un fremito nella piazza. La «sciuta», l’uscita, sta per avere luogo. Quando la statua di san Sebastiano, preceduta dalla reliquia, esce dalla chiesa sorretta da giovani portatori. Eccola apparire, ancora nell’ombra. Schiere di ragazzini, appostati ai lati della porta, gridano esultanti, sollevano le braccia come se la loro squadra avesse segnato un gol. Proprio questo paragone mi fa comprendere che quello che sta per accadere è fuori da tutti i nostri schemi mentali. Quello che sta per accadere ha sicuramente qualcosa da dirmi sulla civiltà alla quale appartengo. E che non conosco più.

ESPOSTA IN VIA JUDICA UNA STATUA DEL PROTETORE PALAZZOLO.


Una scultura realizzata dall’artista canicattinese Tanino Golino per commemorare San Sebastiano, protettore di Palazzolo, è stata installata e rimarrà in esposizione permanente in un’antica finestra dei dammusi di casa “Rizza-Mita”. L'opera si trova in via Gabriele Judica, a pochi passi dalla chiesa di piazza del Popolo. Alla base della scultura la frase “Invitto martire, volgi il tuo sguardo sui giovani ed ispirali ad avere alti ideali”. “Proprio come fece il valoroso soldato Sebastiano, che coniugò i doveri civili a quelli religiosi, – ha spiegato il pittore Golino – anche nella “confusa” società di oggi c’è bisogno di chi sappia donare la propria vita alla fede”.

Marco Petrolito


PALAZZOLO ACREIDE: ICARO IN VOLO
Liberamente tratto da «Pagine» di Giuseppe Fava e da una nota di Salvatore Silvano Nigro (in Antonino Uccello, La casa di Icaro, a cura di Salvatore S. Nigro, Catania, Pellicano Libri, 1980). La poesia di Nicolò Messina citata nel testo è pubblicata in Tonino Grimaldi, Le Canzuni siciliane di Nicolò Messina in Studi Acrensi, IIl, 1996-2004. Io  conosco ogni angolo, ogni pietra di questo luogo, le scalinate segrete che si infilano tra le case e sbucano sull' alto del monte, i minuscoli cortili, le antiche stra­de settecentesche, le fontane ... Questa è la Piazza della Matrice, chiusa tra due piccole colline: da una parte la Chiesa Madre con la grande facciata e dall' altra la basili­ca di San Paolo, tutta gremita di archi, colonne, e corona­ta in cima dalle statue degli apostoli. Tutt'intorno, il fian­co della montagna si apre dolcemente come una conchi­glia: strade, terrazze, case, tetti, balconi, orti, scalinate, alberi, scendono fino a questa grande piazza deserta ... Ecco questo è il corso del paese, la strada più amabile che io conosca. Fiancheggiata da piccoli palazzi del Set­tecento e dell'Ottocento, essa scende dapprima in lie­vissimo declivio formando un' ampia curva e poi rico­mincia a salire, sempre più ripida in rettifilo fin quasi alla cima della montagna. Le facciate dei palazzi sono verdi, azzurre e rosse, ma di quei colori antichi che la luce, il vento, la pioggia e il muschio harmo modulato per centinaia di anni e perciò si sono fatti tenui come un' ombra. Balconi ed architravi sono di pietra bianca e scolpita, ma anche le sculture, ormai, levigate dal tempo, hanno assunto altre forme, più misteriose e sfuggenti. Sui grandi marciapiedi si aprono i negozi, i bar, i circoli. Ogni sera, un' ora dopo il crepuscolo, la strada si anima improvvisamente di migliaia di persone che passeggiano quietamente come un rito, le ragazze più belle sotto braccio, i tavoli dei bar affollati di studenti ... Questo era forse il luogo dove nascevano le straordi­narie 'canzuni' siciliane di Nicolò Messina, un poeta palazzolese della seconda metà dell'Ottocento: Sù l'uocci vuostri dui stiddi lucenti, e li labbruzza dui rosi di maju, li capiddi sù d' oru e risplendenti e di lu suli sù lu primu raju, cu nun v'ha visto nun ha vistu nenti, né truovu un' autra bedda unni vaju vaju, nà cosa sul a ju vogghiu di vui d' essiri vostru amanti e nenti ciui! Di là incomincia il quartiere.più affascinante e segreto: interminabili scalinate che salgono, scompaiono sul fianco della collina, tra piccole case antiche, palazzi sgre­tolati, la vecchia torre dell' orologio in equilibrio sulla cima, i vicoli invisibili ... Tutte le finestre harmo le tendine: vasi di fiori sono disposti ovunque, sull'uscio delle case, sui davanzali, persino sulle tegole, le strade sono magicamente linde. Se incontrate qualcuno, sia uomo o donna, vi saluterà sempre, gentilmente per primo ... Questa era anche una delle piazze del veglione. I due veglioni di San Paolo e di San Sebastiano. Bisogna dire che ogni cosa si facesse in questo paese doveva essere fatta due volte e spesso l'una contro l'altra, come ci fossero nel paese due anime: l'una rac­colta attorno alla vecchia chiesa di San Paolo nel cuore della vallata, il quartiere più antico e decaduto, dove vivevano soprattutto le famiglie baronali e i contadini; l'altra sulla cima del monte, raccolta attorno alla chiesa di San Sebastiano, nel quartiere nuovo dove c'era adu­nata la borghesia degli impiegati, negozianti, professio­nisti, dov' erano il corso, il bar, il municipio e il teatro. Si combatteva per ogni cosa. Per esempio, il patrono era San Paolo, nero, calvo, terribile, la spada balenante che aveva tagliato cento e una testa di cristiani, e lassù proclamarono un altro patrono, San Sebastiano natural­mente, candido, bellissimo, intellettuale, legato ad un albero e trafitto da frecce d'argento, signore dei laureati, degli artigiani e degli studenti. .. Per cento anni infatti questa lotta rappresentò, nel microcosmo di questo paese siciliano, l'eco della evoluzione e quindi di tutte le contrapposizioni della società italiana: l'antico e il nuo­vo, i nobili e gli artigiani, i borghesi contro i contadini, finché 1'accanimento cominciò ad acquietarsi, i baroni scomparvero, i figli dei contadini divennero medici ed avvocati, la violenza si trasformò in ironia e una sera di luglio del 1943 Wla tempesta di bombe anglo-americane fece egalitariamente strage sopra e sotto. Palazzolo conserva ancora una commistione unica di linguaggi architettonici, unendo al fascino delle mera­viglie barocche quello di un Liberty originale e gentile che contribuisce a creare nel suo centro storico un' atmosfera quasi da Secessione viennese. Ma le sorprese a Palazzolo non finiscono mai: provia­mo anche solo per Wl momento a riflettere sulle infinite stratificazioni della sua storia millenaria, sul suo passa­to pre-greco e greco - al quale il barone palazzolese Gabriele J udica dedicò fra il 1809 e il 1830 anni di scavi e di indagini - e vedremo emergere ancora, sfidando il tempo, resti imponenti e affascinanti, fra cui i «Santo­ni»: un complesso di figure, dodici grandi quadri scol­piti nella roccia ad alto rilievo, che rappresentano un' eccezionale testimonianza, unica nel suo genere, del culto antichissimo della Grande Madre, la Terra, Cibele, la divinità eterna di tutte le civiltà che dalla terra nascono. E infatti Palazzolo è anche la cittadina di Nino Uccello, uno straordinario studioso e poeta della cultura e della civiltà contadina, che qui volle realizzare una Casa museo di singolare concezione: una sorta di casa ance­strale, il luogo in cui tutti potevano ritrovare qualcosa che sembrava definitivamente perduto, la casa dell'infanzia, dei genitori, della propria terra lontana, il luogo e il tempo delle memorie in cui condensare gli affetti e i valori della civiltà contadina. Uccello pose a simbolo della sua Casa Museo una figura ripresa dai decori in ferro dei carretti siciliani raffigurante Icaro in volo: il volo della poesia e della cultura radicata nella sto­ria che sconfigge !'ignoranza e !'indifferenza e che ci consente di cogliere quasi con lo sguardo, reso acuto dalla luce radente, l'infinita varietà dei tanti lasciti che la storia degli uomini ha depositato in questo territorio. Come il mitico personaggio, Uccello aveva voluto spe­rimentare l'utopia del volo con le ali di cera, aveva pre­teso di custodire incontaminata nella casa di Palazzolo (la casa dei venti e dei fantasmi) lo sguardo stupito del montanaro ibleo, rievocato con la nostalgia del naufra­go che sogna altri mari ... La passeggiata è finita. È quasi tramonto, il cielo è alto, rosso e luminoso ma il paese sembra dolcemente calare dentro l'ombra della montagna, bianco e grigio, con i colori della nostalgia, le grandi chiese, i palazzi antichi, le case pulite dei poveri. Palazzolo cortese, dolce, ama bile, gentile ... Riccardo Insolia 
2° festival Internazionale del Val di Noto Magie Barocche

 

DOLCE IL BAROCCO SICILIANO
Oltre a fotografare la campagna Siciliana, in questi giorni visito vari paesi come Noto, Ragusa Ibla, Palazzolo Alcreide, Buscemi, Modica dove il Barocco Siciliano trionfa. Quasi sempre arroccati sulle colline sembrano dei presepi quando la sera s’illimiunano. In questo periodo le sagre dilagano, grandi processioni per celebrare ognuno il proprio Santo Patrono, alcune sono famose come quella a Palazzolo di San Sebastiano Martire dove due artistici fercoli, sotto una pioggia multicolore di migliaia di ‘nzareddi, lo sparo di bombe, il suono delle bande e l’offerta dei bambini nudi, processionano lungo le strade del centro storico, sorretti a “spadda nura” dai portatori, seguiti dalle devote del “viagghiu scausu” e dalla folla dei fedeli. I festeggiamenti si svolgono con la processione del simulacro del Santo, con concerti di vari corpi bandistici, con intrattenimenti musicali serali e fuochi pirotecnici. I fedeli annualmente rinnovano toccanti tradizioni, fra queste la “spalla nuda” , il “viaggio scalzo” e la presentazione di “bambini nuri” al

 Santo, sono lo scioglimento di un voto per grazia ricevuta, così per tutto agosto. A Palazzolo ho fotografato la più lunga balconata barocca d’Europa e poi le chiesa con la spettacolare facciata e un incredibile interno ora addobbato per la festa. A Buscemi, paese museo, mi fermo nella deserta piazzetta davanti alla chiesa di S.Antonio da Padova caratterizzata dalle tre campane sopra la facciata dove solo le rondini che volano intorno mi tengono compagnia, bellissima e lunghissima l’enorme scalinata del Duomo di San Giorgio che visito a Modica. Verso la sera della giornata barocca modello, con amici ci sediamo nel corso V.Emanuele di Noto, al caffè di Sicilia di Corrado Assenza, assaggiamo dolci di rara bontà e granite che rinfrescano l’anima, vediamo passare spose, turisti e siciliani veri. Poi la faccia stupenda di Corrado che ci parla dei prodotti usati come si dice una poesia, le sue mani si muovono mimiche, mentre descrive le preparazioni e io con il gusto in bocca scatto alcune immagini, vedo lui, vedo pezzi di Sicilia, vedo il barocco sullo sfondo.
davide dutto

Nudi per grazia ricevuta
Scossi dall’urlo collettivo, due alla volta, senza soluzione di continuità, i bambini nudi, dalla pelle bianchissima, avvolti in un rotolo di banconote, vengono sollevati da braccia muscolose e nervose sulla cima di fercoli dorati, fino a sfiorare la statua dei Santi. Per grazia ricevuta, forse, ma anche come buon auspicio per il futuro. Poi un altro urlo liberatorio (“U Santu della vita è patrono”) li riporta docilmente tra le braccia dei genitori. E’ un rito antichissimo di Palazzolo Acreide, legato alla tradizione e alla cultura contadina, alle antiche superstizioni, alla devozione verso i Santi. Migliaia di persone osservano ammutoliti, eccitati, storditi dal caldo e dall’incessante bombardamento dei mortarettiti. E’ una sfida di arte, di cultura e di tradizioni popolari, tra i due rioni più importanti che coinvolge da almeno tre secoli tutto il paese, senza distinzioni di età, di sesso e di classe sociale. Sembra che tutto sia nato da un ‘blitz’, la proclamazione dell’Apostolo Paolo a patrono di Palazzolo Acreide nel 1689. Contro quell’elezione i Sansebastianesi ricorsero in tutte le corti e tribunali possibili, scatenando una lunga e dispendiosa guerra legale. Poi il caso fu formalmente chiuso all’italiana, anzi alla siciliana: i Sansebastianesi scrissero sul fercolo del loro martire ‘protectori’ e continuano così a festeggiarlo il 10 agosto, mentre i Sampaolesi si fregiarono, di diritto, sulla loro ‘vara’ del titolo di ‘patronus principalis’ (la festa è il 29 giugno). I Santi avevano diviso, salomonicamente, il paese in due anime, aggregate intorno alle due chiese. In basso, nel cuore della vallata, andarono a vivere le famiglie nobili, i proprietari terrieri, i contadini, i dazieri. In alto, nei pressi della chiesa di San Sebastiano, sorsero invece il Municipio, i negozi, aprirono le botteghe degli artigiani, i commercianti, i professionisti. C’era, ed è rimasta, la rivalità sociale, la lotta orgogliosa per emergere, una profonda devozione alla propria terra, un desiderio furioso di vivere. San Paolo era il simbolo della forza, della sicurezza, della potenza divina: scuro, lo sguardo folgorante, la spada ancora sguainata, una immagine insolita e forse unica dell’apostolo visto che di solito viene ritratto con la spada sotto la cintola, dopo la Conversione. La statua di San Sebastiano, anch’essa bellissima, fu realizzata da maestranze locali: il Martire cristiano appare candido, quasi un immagine efebica, incatenato e nudo, trafitto dalle frecce. I contrasti tra le confraternite esplodevano in maniera violenta e spesso il giorno della festa si concludeva tra scazzottate e sassaiole. Ed ogni anno la sfida tra questi due Santi così diversi si rinnova, in una kermesse cittadina che trascina su queste colline incontaminate migliaia di turisti da ogni parte della Sicilia e non solo. L’aspetto religioso, è secondario. Questo è soprattutto un grande spettacolo collettivo che si rinnova. Le statue, portate a spalla nuda, vacillano sotto una valanga di ‘nzareddi’ (rotoli di carta) che piovono dall’alto delle chiese bianche e maestose; la gente si segna al passaggio della processione, ed i bambini nudi, fino al secondo anno di età, sono offerti al Santo in segno di riconoscenza. Più tardi i vestitini saranno acquistati dai genitori con una lauta offerta in denaro. Tutto si svolge secondo un copione prestabilito, con il gioco multicolore e la letizia di una recita teatrale. Le bande musicali rantolano assetate. Il maresciallo dei carabinieri, il sindaco e la giunta in tenuta da gala seguono, con la dovuta compostezza il corteo, tra gli stendardi e le bandiere colorate. Le donne a pieni nudi cominciano il loro ‘viaggio’ a piedi nudi alle spalle dei fercoli. Folklore, religiosità, fanatismo? Il fascino della Sicilia è ancora questo: la genuina fede popolare, la povertà, l’egoismo, la superbia fanatica. La convinzione di essere persino amico personale dei Santi.
Salvo Guglielmino
Ho lasciato la Sicilia nel 1992, l'Italia nel 1999. Gli anni di lontananza mi hanno fatto apprezzare tradizioni un tempo rifiutate. Il reportage su San Sebastiano di Palazzolo Acreide, è parte di un più ampio progetto sul ruolo dei riti religiosi per gli italoamericani di New York. La festa di Palazzolo è nel contesto del mio lavoro il simbolo di quella meridionalità viscerale ed ancestrale che gli emigranti hanno cercato di non perdere e che europeizzazione e globalizzazione stanno cambiando anche a casa nostra. 
Delizia Flaccavento
Quando scocca l'ora della vertigine, in questa festa insieme religiosa e pagana, non puoi fare altro che immergerti nel gorgo dei sensi impazziti sperando che la fotocamera si mantenga lucida e assecondi la tua ansia di memoria. A lei devo, anche stavolta, la realizzazione di queste immagini. 
carlo riggi

10 agosto 2006

É arrivato il mese di agosto e Palazzolo Acreide è in festa per il proprio S. Sebastiano. Già dai primi giorni del mese incominciano i preparativi: si allestiscono le illuminazioni, si addobbano i balconi e tutti i devoti e tutti i fedeli si preparano spiritualmente all'evento; si, evento è la parola giusta, proprio come tutte le feste che si fanno a Palazzolo del resto. Evento proprio come la festa appena passata un mese prima del patrono S. Paolo, grande giubilo per quella festa e lo stesso per questa; tutte e due le feste sono di uguale importanza, pomposità e bellezza, e sono molto simili nel suo genere: gli "nzareddi", il Santo portato a spalla, la Reliquia sulla "varetta", i bambini spogliati nudi, ma soprattutto stessa emozione e bellezza, a maggior ragione quest'anno, che hanno inaugurato il restauro dell'interno della Basilica del Santo, dopo due anni chi chiusura. Quest'anno è stato un anno particolare, perchè ci sono stati due grandi ritorni molto importanti ed evidenti: la "Sciuta" dalla Basilica, che per due anni si è fatta ma senza uscita del simulacro dal portale centrale della chiesa, e il ritorno dei paramenti sacri in stoffa che abbelliscono l'interno del sacro tempio. Per tutto il periodo del restauro dell'interno della Basilica, il simulacro di S. Sebastiano il giorno della festa, il 10 agosto, alle ore 13,00 è uscito portato a spalla fino in piazza dove lo aspettava tutto il popolo e la vara; arrivato in piazza veniva sistemato sulla vara e poi, nel momento in cui i devoti portatori alzavano sulle spalle la vara, incominciava il lancio di una miriade di carte colorate ("nzareddi) lanciate dai mortai posti sulla facciata della chiesa. Quest'anno invece, dopo due anni di assenza, S. Sebastiano con la sua Reliquia ha varcato la soglia dei gradini ed è uscito trionfalmente dal portale centrale della sua Basilica come prima. Una cosa ancora più bella, che mancava da tantissimi anni, è l'addobbo della chiesa con i stupendi e maestosi paramenti sacri in stoffa che mancavano da circa quarant'anni e da quest'anno, che si è restaurata la chiesa, si è ripresa quest' antica e bella tradizione. La festa è stata molto bella ed emozionante; purtroppo quest'anno c'è stata una giornata ricca di vento, soprattutto al momento dell'uscita, che ha guastato l'effetto coreografico del lancio delle carte, che invece di cadere in piazza sono cadute, dopo il lancio, di lato alla chiesa.; ma per il resto la festa è stata bella come sempre: prima il giro d'onore attorno alla piazza, con l'offerta dei bambini nudi al Santo, poi il giro per le vie del paese con l'offerta dei soldi appesi davanti il simulacro, la tradizionale "Catena Umana" per via Fiume Grande, il rientro e la processione serale. Al passaggio del Santo con la sua Reliquia dalla ripida salita di via Fiume Grande si effettua la "Catena Umana": la catena si effettua solo per la salita della vara col simulacro non per la "varetta" con la Reliquia che è più leggera. Siccome la salita è molto faticosa, i devoti portatori vengono aiutati da altri devoti che si mettono in fila e si tengono a "braccetto" tra di loro formando una catena umana, che unita con i devoti che portano a spalla la vara formano un cordone che li aiuta nella ripida salita. Vi è una grande emozione in quel momento, e tra due ali di folla i devoti con tutte le loro forze effettuano la ripida salita tra gli applausi, i gridi di evviva e lo sparo dei fuochi d'artificio; è il momento più bello della processione diurna dopo la "Sciuta". Dopo aver effettuato altre strade del paese la Reliquia rientra subito in chiesa all'arrivo in piazza mentre S. Sebastiano prima di rientrare effettua due giri della piazza per infine entrare trionfalmente tra le grida di giubilo dei devoti che dopo aver effettuato la ripida salita dei gradini della chiesa, in conclusione appoggiano la vara col Santo nella navata centrale della chiesa proprio nei pressi della porta centrale. La sera si è svolta la solenne processione per le vie rimanenti del paese e alla fine della giornata di festa il simulacro è stato riposto sull'altare maggiore per rimanere esposto per tutta la settimana dell'ottavario di preghiera in attesa della conclusiva processione del giorno dell'ottava con un'atra vara a spalla chiamata "Vara che Cianciani". 
Testo della redazione (L'AFC)

San Sebastiano

Le notizie storiche su s. Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito ai millenni, ed è tuttora molto vivo, ben tre Comuni in Italia portano il suo nome, e tanti altri lo venerano come santo patrono, si ricorda inoltre il grande porto spagnolo di San Sebastián, l’isola di Sao Sebastiao in Brasile, di fronte a San Paolo. Le fonti storiche certe sono: il più antico calendario della Chiesa di Roma, la ‘Depositio martyrum’ risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio e il “Commento al salmo 118” di s. Ambrogio (340-397), dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma, ma non dà spiegazioni circa il motivo. Le poche notizie storiche sono state poi ampliate e diciamo abbellite, dalla successiva ‘Passio’, scritta probabilmente nel V secolo dal monaco Arnobio il Giovane. Ne facciamo qui il riassunto integrando le due fonti, dando prima una introduzione storica. Nel 260 l’imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati, occupando alcuni di loro, importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero. E in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche nell’organizzazione; Diocleziano che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica, ma poi 18 anni dopo, su istigazione del suo cesare Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli in tutto l’impero. Sebastiano, che secondo s. Ambrogio era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona (Francia meridionale) e da madre milanese, era stato educato nella fede cristiana, si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano. Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, domestico (cubicolario) della famiglia imperiale, che poi morì martire. La leggendaria ‘Passio’, racconta che un giorno furono arrestati due giovani cristiani Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino; il padre ottenne un periodo di trenta giorni di riflessione prima del processo, affinché potessero salvarsi dalla certa condanna sacrificando agli dei. Nel tetro carcere i due fratelli stavano per cedere alla paura, quando intervenne il tribuno Sebastiano riuscendo a convincerli a perseverare nella fede; mentre nel buio della cella egli parlava ai giovani, i presenti lo videro circondato di luce e tra loro c’era anche Zoe, moglie del capo della cancelleria imperiale, diventata muta da sei anni. La donna si inginocchiò davanti a Sebastiano, il quale dopo aver implorato la grazia divina fece un segno di croce sulle sue labbra, restituendole la voce. A ciò seguì una collana di conversioni importanti, il prefetto di Roma Cromazio e suo figlio Tiburzio, Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio; tutti in seguito subirono il martirio, come pure i due fratelli Marco e Marcelliano e il loro padre Tranquillino. Sebastiano per la sua opera di assistenza ai cristiani, fu proclamato da papa s. Caio “difensore della Chiesa” e proprio quando, secondo la tradizione, aveva seppellito i santi martiri Claudio, Castorio, Sinforiano, Nicostrato, detti Quattro Coronati, sulla via Labicana, fu arrestato e portato da Massimiano e Diocleziano, il quale già infuriato per la voce che si diffondeva in giro, che nel palazzo imperiale si annidavano i cristiani persino tra i pretoriani, apostrofò il tribuno: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me, ingiuriando gli dei”. Sebastiano fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino chiamato ‘campus’, fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici. Ma la nobile Irene, vedova del già citato s. Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura, secondo la pia usanza dei cristiani, i quali sfidavano il pericolo per fare ciò e spesso venivano sorpresi e arrestati anche loro. Ma Irene si accorse che il tribuno non era morto e trasportatelo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano e al suo associato Massimiano, mentre gli imperatori si recavano per le funzioni al tempio eretto da Elagabolo, in onore del Sole Invitto, poi dedicato ad Ercole. Superata la sorpresa, dopo aver ascoltato i rimproveri di Sebastiano per la persecuzione contro i cristiani, innocenti delle accuse fatte loro, Diocleziano ordinò che questa volta fosse flagellato a morte; l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo. L’abbandono dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso dai pagani come un castigo supremo, credendo così di poter trionfare su Dio e privare loro della possibilità di una resurrezione. La tradizione dice che il martire apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dov’era approdato il cadavere e ordinandole di seppellirlo nel cimitero “ad Catacumbas” della Via Appia. Le catacombe, oggi dette di San Sebastiano, erano dette allora ‘Memoria Apostolorum’, perché dopo la proibizione dell’imperatore Valeriano del 257 di radunarsi e celebrare nei cosiddetti “cimiteri cristiani”, i fedeli raccolsero le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo dalle tombe del Vaticano e dell’Ostiense, trasferendoli sulla via Appia, in un cimitero considerato pagano. Costantino nel secolo successivo, fece riportare nei luoghi del martirio i loro corpi e dove si costruirono poi le celebri basiliche. Sulla Via Appia si costruì un’altra basilica costantiniana la “Basilica Apostolorum”, in memoria dei due apostoli. Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano attirati dalla ‘memoria’ di s. Pietro e s. Paolo, visitavano in quel cimitero anche la tomba del martire, la cui figura era per questo diventata molto popolare e quando nel 680 si attribuì alla sua intercessione, la fine di una grave pestilenza a Roma, il martire s. Sebastiano venne eletto taumaturgo contro le epidemie e la chiesa cominciò ad essere chiamata “Basilica Sancti Sebastiani”. Il santo venerato il 20 gennaio, è considerato il terzo patrono di Roma, dopo i due apostoli Pietro e Paolo. Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II (824-827) il quale ne mandò una parte alla chiesa di S. Medardo di Soissons il 13 ottobre 826; mentre il suo successore Gregorio IV (827-844) fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano e inserendo il capo in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV (847-855) trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dove tuttora è venerato. Gli altri resti di s. Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218, quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di S. Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta; nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trovano tuttora. S. Sebastiano è considerato patrono degli arcieri e archibugieri, tappezzieri, fabbricanti di aghi e di quanti altri abbiano a che fare con oggetti a punta simili alle frecce. Patrono di Pest a Budapest e dei Giovani dell’Azione Cattolica, è invocato nelle epidemie, specie di peste, così diffusa in Europa nei secoli addietro. Nell’arte antica s. Sebastiano fu variamente raffigurato come anziano, uomo maturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o con lunghe vesti proprie di un uomo del Medioevo. Dal Rinascimento in poi diventò nell’arte, l’equivalente degli dei ed eroi greci, celebrati per la loro bellezza come Adone o Apollo, poi ispirandosi ad una leggenda dell’VIII secolo, secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon, nelle sembianze di un efebo, pittori e scultori cominciarono a raffigurarlo come un bellissimo giovane nudo, legato ad un albero o colonna e trafitto dalle frecce. Il soggetto si presentava ad una libera interpretazione del primo martirio delle frecce, (non si teneva conto che fosse poi morto con il flagello) e secondo l’estro dell’artista per un compiaciuto virtuosismo anatomico, applicato ad un soggetto religioso. Anche Michelangelo nel “Giudizio Universale”, lo immaginò nudo e possente come un Ercole, mentre stringe in pugno un fascio di frecce, interpretazione guerriera del mite santo, beato nella comunione del Signore. Innumerevoli sono le opere d’arte che lo raffigurano e quasi tutti gli artisti, pittori e scultori, si cimentarono nell’opera, anzi la semplicità del soggetto, uomo nudo legato ad una colonna, fu congeniale specie agli scultori. Ancora vivente, il papa lo denominò “difensore della Chiesa”, e celeste patrono e difensore fu denominato da intere città, capolavoro di questo tema è l’affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di S. Agostino, della turrita San Gimignano (1465), dove s. Sebastiano come le iconografie della Madonna della Misericordia, accoglie gli abitanti della città sotto il suo mantello, sorretto da angeli e contro il quale si spezzano le frecce scagliate dal cielo da Dio. Infine è da ricordare che insieme a s. Giovanni Battista, è molto raffigurato nei gruppi di santi che circondano il trono della Madonna o che sono posti ai lati della Vergine.